Archivio per febbraio 2011

[Incoming mail] Radiant Historia


Domanda, abbastanza retorica ma tant’è: può in un genere in stagnazione come il JRPG avere ancora spazio tra le sue fila per esponenti di scuola rètro? La risposta dovrebbe venire da sé, in particolare dalla sconfinata lineup del DS nonché da alcuni remake per PSP, i quali però sono per l’appunto remake di capolavori (e meno) di un’era che fu. Guardiamo a un titolo originale come Radiant Historia: un amalgama di stile grafico a 16 bit, intrighi politici à la Matsuno-Suikoden, ambientazione ricca e viaggi nel tempo attinti a piene mani da un classico incontrastato di cui taccio il nome già abbondantemente consumato e scomodato.
Il segreto del successo di tali operazioni sta nel porre come fondamenta dell’apparato estetico da nostalgia tutti i passi avanti nel frattempo compiuti dal sistema di gioco, il design delle interfacce e il gameplay tout court. Nell’unire cioè passato, presente e futuro in un tutto unico e fluido. Da questa scuola di pensiero hanno sovente origine i giochi di adesso che maggiormente m’impressionano, e Radiant Historia non è da meno.

Se già avevo salivato di fronte agli artwork deliziosamente anni ’90, agli sprite colorati e alla prospettiva di un viaggio a ritroso nelle ere allo scopo di correggere l’avvenire, decidendo di procurarmi la versione americana alla notizia dell’acclusione di una OST nel pacchetto, è stata una singola immagine a farmi volare su Videogamesplus.ca per piazzare in quattro e quattr’otto il preordine del gioco: la schermata della timeline. Ho un debole per le storie di crononauti da quel dì e non ho dubbi che a molti di coloro che condividono il mio fetish sia bastato vedere i bivi scomporsi e ricomporsi a seconda delle proprie azioni e delle proprie scelte per unirsi all’ipnotizzata processione tipo Hamelin.

L’attesa di averlo tra le mani sarà pesante, benché se ne prospetti una ancor maggiore prima di poter finalmente inserire la cartuccia nella console. Ma per ora mi basta poterlo sapere lì, sulla pila del mio backlog.

Ode to the fourth wall


Esistono storie e intrecci veramente possibili e raccontabili solo in un determinato modo, avvantaggiandosi delle particolarità di quel tale mezzo espressivo. Così come certe ambiguità possono essere ottenibili solo in un libro e talune scene visivamente d’effetto solo in un medium che preveda una parte grafica, le peculiarità della visual novel giapponese sembrano essere pensate apposta per conferire la massima efficacia (e non viceversa, tanto vengono utilizzate con fluidità) a Ever17 e alle sue imprevedibili rivelazioni, che sono perfettamente a metà fra un accorto sfruttamento della parte scritta e il ricorso a immagini piazzate ad arte per stravolgere le convinzioni del lettore/fruitore dileggiando in modo assai arguto e integrando nella storia le idee preconcette formatesi accumulando conoscenze sul mondo raffigurato nell’opera. Ever17 gioca intelligentemente con le convenzioni del genere, come la soggettiva dagli occhi del personaggio-punto di vista (di conseguenza invisibile… a meno di non trovarsi davanti a uno specchio) e la presenza di più tracciati narrativi da scegliere per mezzo dei bivi nei dialoghi, rendendole interne all’intreccio anziché esterne e meramente funzionali, distaccate dal mondo e dai personaggi. Nemmeno una localizzazione pedestre e il ritmo slombato di certe scene, peraltro da ripetere identiche da un minimo di due a un massimo di quattro volte (o anche no, courtesy dello skip dei testi già letti) per poter pervenire al finale definitivo in cui ogni mistero sarà spiegato con dovizia di particolari, bastano a moderare l’effetto inquietante di altre sequenze risolte con maestria esemplare nel dosaggio delle informazioni elargite e nella gestione del suddetto punto di vista. Cosa rara per lavori del genere, quasi ogni punto oscuro piazzato sul tappeto pezzo dopo pezzo nei primi quattro path viene ripreso in mano e rigirato, manipolato ed esaminato fino a combaciare perfettamente con tutti gli altri, fino a formare un mosaico dalle mancanze perlopiù trascurabili che contribuiscono a mantenere il fascino degli eventi più bizzarri senza troppo metterne a nudo i retroscena.

P.S. Avete già letto Ever17, condizione necessaria per comprendere appieno il testo qui sopra e leggerlo con un sorrisetto astuto sulle labbra, e volete la prova che anche un autore di videogiochi e/o visual novel ha il diritto di possedere e sviluppare temi ricorrenti? DS e copia di 999: Nine Hours, Nine Persons, Nine Doors alla mano, cominciate a enumerare i punti di contatto. Gruppo di persone intrappolate in una struttura senza via di uscita? Check. Summenzionata struttura senza via di uscita isolata sopra, sotto o in mezzo al mare? Check. Conto alla rovescia (reale o figurato) verso l’affondamento dell’onnipresente struttura? Ancora check. Gemiti del metallo che cede alla pressione dell’acqua, a ricordare l’incombenza della tragedia? Check. Mindfuck geniale condito da impossibilità di spegnere la console fino a raggiungere il punto risolutivo? Check, check e stracheck.

… Obbligo di rigiocare da capo la novel almeno cinque volte prima di sbloccare il vero finale della vicenda? Check, purtroppo. O per fortuna, a seconda del gradimento.

Quanto sei bella Roma, e mica solo a prima sera

So già quanto mi piacciano le vedute della mia città senza che un videogioco canadese stia lì a ricordarmelo con i suoi tour virtuali, di cui non ho certo bisogno quanto qualcuno che vive a OVER NINE THOUSAAAAND chilometri da qui. Se Assassin’s Creed Brotherhood riesce invece a riportarmele alla mente con efficacia e allo stesso tempo contiene nelle sue pillole di database e nei paesaggi da cartolina un vero e proprio time elevator da salotto e un’esperienza ludicamente e culturalmente golosa, allora mi basta per dire che gli sviluppatori hanno ben svolto il loro lavoro. Considerando qual è sempre stato il focus della saga per me, l’emozione che mi percorre a vedere il Colosseo circondato dalle campagne e la piazza di fronte al Pantheon com’era un tempo o anche solo la mappa acclusa alla guida ufficiale, che mi diverto a confrontare con quella odierna per verificare l’accuratezza della ricostruzione, mi fa pensare di aver forse di fronte una nuova vetta della maturità autoriale del team (peccato solo che Dèsilets…). E chissenefrega delle missioni secondarie altamente randomiche, a quel punto.

Mio al day one: Catherine


Esistono argomenti che paiono nel novantanove per cento dei casi evitati come la peste dal sistema videoludico mainstream, relegati a certi ambienti per default senza che quasi nessuno paia soffermarsi a riflettervi in quanto considerati adatti solo, per fare un esempio, a tipologie d’intrattenimento (anche ibride, volendo) maggiormente improntate alla parte narrativa e per questo meno inibite nella scelta di dove andare a parare. Delicatissimo è per esempio il discorso del sesso, ghettizzato nell’apposito filone dell’hentai/eroge in Giappone (e anche lì, più per soddisfar prurigini a mo’ di letteratura erotica che per esplorarlo seriamente, come componente preponderante o meno di un intreccio) o presente di striscio e persino a sproposito, nei giochi occidentali, per misurare un fantomatico grado di presunta maturità.

Immaginate dunque la mia sorpresa, quasi la mia meraviglia, nel vederlo affrontato com’è (apparentemente) in un titolo che sarà pure di nicchia in confronto a tutti i GTA e i Mass Effect del mondo, ma che viene da una softco blasonata anche da noi ed è già da ora, grazie al talento di marketing di casa Atlus, ampiamente pubblicizzato proprio nelle sue componenti più presumibilmente proibite. Sto parlando, come si sarà capito dall’immagine a corredo, di Catherine. Il logo è già esplicativo delle tematiche che si preannunciano affrontate nella trama.

La sessualità in Catherine balza inaspettatamente in prima linea, e fa ben più che capolino nei trailer ufficiali senza mai sentirsi a disagio; sorprende, perché viene trattata come un aspetto naturale della vita adulta. Il protagonista è a letto con l’inquietante e misteriosa Catherine: non è una sequenza segreta opzionale, l’outcome avanzato di una sottotrama in una storia che parla di tutt’altro o una feature fra le tante, ma un elemento di spicco di trama e ambientazione e addirittura uno dei presupposti da cui si dipana il resto. Persino di un film non erotico è difficile vedere presentazioni tanto esplicite su questo fronte, e ancor più particolare è il fatto che il genere in sé, ancorché fra quelli più propensi ad accogliere una forte connotazione narrativa, mette comunque il gameplay nelle prime linee anziché lo script, dando così vita a un gioco con tematiche insolite.

Alla fomentazione del mio interesse concorre poi la sintonia estetica che mi lega al team di SMT e in particolare degli ultimi Persona. Già in quei casi s’intravedono un piglio tutto personale e la disposizione ad affrontare ciò su cui molti altri semplicemente glisserebbero, per tentare di negarne l’esistenza o disinteresse totale che sia. Nella mia perenne ricerca di esempi di videogiochi che sfoggino complessità e profondità d’idee e messaggi oltre che di sistema ludico, assommata alla scontata tendenza a seguire le mosse degli studio che si son già dimostrati in grado d’incontrare i miei gusti, non posso che stampare un bel “mio al dei uàn” sulla boxart di questo promettentissimo exploit.


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Achtung spoiler

Sono stata avvertita dal Comitato Contro lo Spoiler Selvaggio che, se non avessi inserito questo avviso, dei ninja in tutù avrebbero visitato la mia cameretta per squartarmi con una lama da polso alla Altaïr. Ricordate dunque che, se temete spoiler, dovete stare molto attenti a leggere in depth o riflessioni personali sui miei giochi preferiti, in quanto qua e là rivelo cose importanti sulla loro storia. Se non avete giocato i titoli in questione, be very careful.

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Gioco a:
Layton Kyoju Vs. Gyakuten Saiban (3DS), L.A. Noire (PS3)

Leggo:
Il seggio vacante, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, Il manga

Guardo:
Recuperi cinefili vari (ultimo visto: Ralph Spaccatutto), L'ispettore Coliandro