Esce di bel nuovo Okami su Wii e, nonostante la localizzazione in inglese abbia modificato vari nomi allo scopo di renderli maggiormente accessibili a un pubblico di profani, l’opera resta godibile nella sua interezza unicamente per chi avesse anche solo un’infarinatura di cultura classica giapponese. In generale, certo, resta un gioco interessantissimo e assolutamente da provare, ma proprio perché altri ne fruiscano con eguale consapevolezza decisi circa due anni fa, a seguito della mia partita, di stendere un bignamino delle leggende e degli aspetti più conosciuti della mitologia giapponese. Quello che leggerete qui sotto proviene pari pari dal mio forum e non ha alcuna pretesa di completezza, limitandosi a riassumere per sommi capi tutto ciò che può essere utile a una maggiore comprensione del lavoro di Clover. Tali piccoli spunti possono poi essere utili per riflettere circa le curiose analogie tra molti miti umani di varie popolazioni.
Non riferendomi specificamente a nessuno degli elementi incontrati nel gioco all’interno delle varie voci, credo di non aver fatto spoiler di sorta, ma prestate comunque attenzione durante la lettura in caso vi fosse particolarmente inviso anche solo il rischio di rovinarvi qualcosa.
ATTENZIONE: post pieno di immagini. Ogni voce è anche linkata a quella relativa sulla Wikipedia inglese.
Izanami, Izanagi e la creazione del mondo
Izanami e Izanagi erano rispettivamente la dea e il dio primigeni da cui ebbero origine tutti gli altri kami e la terra stessa. Quando i due rimasero soli, generati dai primi dei del mondo, Izanagi immerse la lama della sua spada nell’oceano vorticante, e facendone cadere delle gocce sulla sua superficie creò le isole del Giappone. Successivamente i due procrearono migliaia di kami, ma Izanami morì bruciata dando alla luce il dio del fuoco, andando così a finire nell’Aldilà. Izanagi fece di tutto per riportare la sua sposa al mondo, e quando finalmente riuscì ad ottenere il permesso promise anche che non l’avrebbe guardata in volto finché non fossero tornati sulla superficie. In mezzo al cammino, tuttavia, roso dalla curiosità e dal dubbio che Izanami non lo seguisse davvero a pochi passi, si voltò e vide il suo orribile volto disfatto. Per la vergogna Izanami fuggì in fondo agli inferi e, piena di rancore per Izanagi, si vendicò uccidendo mille kami al giorno. Dopo il viaggio nell’Aldilà, Izanagi andò a purificarsi con dei lavacri, e mentre faceva il bagno nacquero tre nuovi kami: dall’occhio sinistro Amaterasu, dea del Sole e capostipite della linea degli imperatori, dall’occhio destro Tsukuyomi, dio della Luna, e dal naso Susanoo, dio del mare e delle tempeste. Il nome Izanagi significa “uomo che invita”, Izanami invece è “donna che invita”. Il verbo Izanau (“invitare”) esiste ancora oggi, anche se probabilmente è considerato arcaico.
Amaterasu e Susanoo
Diciamo che Susanoo non si è mai comportato granché bene con la sorella. Dopo aver fatto i capricci perché non accettava il suo ruolo di signore del mare ed essersi trascurato fino a farsi crescere una barba lunga innumerevoli metri, chiese asilo ad Amaterasu nella terra di Takamagahara (la pianura celeste), ma invece di esserle grato iniziò a compiere ogni sorta di misfatto, culminando con l’uccisione del cavallo celeste più caro alla dea del sole che, offesa, lo bandì dal cielo e si rinchiuse in una grotta, privando il mondo del suo calore. Gli altri kami, preoccupati, escogitarono un piccolo trucco per farla uscire dal suo esilio: accampatisi davanti all’entrata della caverna organizzarono un festino lascivo in cui la dea della danza Ama no Uzume iniziò un balletto provocante che provocò le risa di tutti gli astanti. Amaterasu, incuriosita, uscì dalla grotta per vedere cosa provocasse tanta ilarità e venne prontamente acciuffata in modo che non potesse più tornare nel suo nascondiglio.
Yamata no Orochi
Durante le sue peregrinazioni sulla terra, Susanoo si imbatté in una coppia la cui ottava figlia, Kushinada, avrebbe dovuto essere sacrificata al terribile mostro Yamata no Orochi, un serpente dalle otto teste che ogni anno richiedeva in sacrificio una fanciulla vergine. Innamoratosi di Kushinada, Susanoo promise che l’avrebbe protetta dal mostro e, trasformatala in un pettine che poi si infilò tra i capelli, si recò alla tana di Orochi per ucciderlo. Ubriacandolo con il Sake della Purificazione gli tagliò le otto teste nel sonno, e tra le sue spoglie ritrovò la spada Kusanagi, che donò ad Amaterasu per riconquistarne l’amicizia. La spada Kusanagi divenne poi uno dei tre tesori della famiglia imperiale giapponese (spada, specchio e rosario; vedi più sotto).
Konohana Sakuya
Quando Ninigi no Mikoto, il nipote di Amaterasu, discese dalla Piana Celeste Takamagahara per portare la pace nel Giappone, incontrò Konohana Sakuya, lo spirito dei fiori (Saku significa sbocciare), e se ne innamorò perdutamente. Il padre Yamatumi, ovvero lo spirito della montagna, ne fu compiaciuto, e gli diede da scegliere in moglie una delle sue due figlie, Sakuya oppure Iwanaga, lo spirito della roccia. Ninigi, ovviamente, scelse Sakuya, e così facendo rinunciò alla sua immortalità, perché Iwanaga rappresentava l’immutabilità e Sakuya, invece, la prosperità.
Le macchie della luna
Se noi occidentali guardiamo la luna piena, di solito la disposizione dei crateri ci ricorderà la forma di un viso. A un giapponese, invece, quelle stesse macchie faranno venire in mente un coniglio che pesta il mochi (pasta di riso). Il coniglio della luna fu posto lì in segno di riconoscenza da un kami; pestare il mochi richiede sempre l’intervento di due persone, una che batta con il pestello sull’intruglio e uno che, con la mano, risollevi il panetto dopo ogni martellata in modo che non si attacchi troppo al fondo della ciotola in cui il mochi viene preparato.
La storia del tagliabambù (Taketori Monogatari)
Questa è la favola di un vecchio tagliabambù e di sua moglie, un’anziana coppia senza figli. Recandosi al lavoro, un giorno l’uomo trovò, alla base di una pianta di bambù, una bambina alta non più di un pollice che riluceva stranamente. Presala con sé per allevarla come fosse una figlia, il tagliabambù le diede il nome di Kaguya e da quel giorno in poi iniziò a trovare dell’oro in ogni bambù quando andava al lavoro. Quando la bambina crebbe diventando una bellissima ragazza, molti pretendenti si recarono dal vecchio tagliabambù per chiedere la mano di sua figlia, ma tutti fallirono le missioni che Kaguya assegnò loro per verificarne i meriti. Voci della sua bellezza arrivarono fino all’imperatore in persona, che cercò disperatamente di guadagnarsi il suo amore senza successo, anche perché nel frattempo Kaguya era diventata distratta e scostante e volgeva senza sosta lo sguardo alla luna durante la notte. Quando annunciò che ben presto il suo popolo sarebbe tornato a prenderla, che lei l’avesse voluto o no, l’imperatore fece circondare la casa del tagliabambù dalle sue guardie per impedire che Kaguya venisse portata via, ma a nulla valse: il popolo della luna discese e, ricoperta Kaguya con una veste piumata che la privò dei ricordi della sua vita come umana, la riportò nel suo paese.
Urashima Taro
Questa favola ricorda moltissimo quella anglosassone del giovane Oisin, rapito dalla regina delle fate (ma anche di altre, soprattutto irlandesi, sempre legate a umani che entrano nel mondo delle fate). Un giorno un pescatore, Urashima Taro, salvò una tartaruga dalle angherie di un gruppo di ragazzini, e per riconoscenza l’animale lo portò nel Palazzo del Drago in fondo al mare, dove la regina si innamorò di lui e lo invitò a restare per sempre. Urashima passò moltissimo tempo a corte con lei, ma un brutto giorno iniziò a sentire nostalgia del mondo che aveva lasciato e chiese di poter tornare in superficie, anche solo per un breve momento. la regina si rattristò molto, ma non poté impedirgli di partire, e dunque gli fece dono di uno scrigno facendosi promettere che Urashima non lo avrebbe mai aperto. Quando il pescatore tornò nella cittadina in cui era nato e cresciuto, però, scoprì che erano passati ben trecento anni dal giorno in cui era scomparso, e che dunque nessuno si ricordava più di lui. Preso dallo sconforto guardò lo scrigno che gli aveva donato la regina e, incuriosito, decise di aprirlo. Ne uscì tutta la vecchiaia che aveva accumulato e il tempo tornò a scorrere normalmente anche per Urashima, che invecchiò e morì in un istante riducendosi in polvere (o trasformandosi in una gru, a seconda).
Nanso Satomi Hakkenden (La leggenda degli otto cani del clan Satomi di Nanso)
Per il motivo che ora leggerete trovo questo romanzo (lungo più di un centinaio di volumi e scritto nel periodo Edo da Takizawa Bakin seguendo la filosofia confuciana) imbarazzante. XD
La storia si apre sull’assedio al feudo del clan Satomi da parte dei nemici giurati, gli Anzai. Nel momento di massima difficoltà il daimyo Satomi Yoshizane disse al suo cane, Yatsufusa, che se fosse riuscito a portargli la testa del generale nemico gli avrebbe dato in moglie sua figlia, la principessa Fuse. Il cane lo prese in parola ( ) e uccise il capo degli Anzai, così Yoshizane fu costretto a far sposare Fuse con Yatsufusa. Poco tempo dopo la principessa Fuse scoprì di aspettare dei figli. Per la vergogna si uccise prima di darli alla luce. Durante il suicidio, il suo rosario buddista, formato da 108 grani di cui 8 rappresentavano le virtù confuciane (Jin, Gi, Rei, Chi, Chu, Shin, Kou, Tei), si spezzò, e gli otto grani più grandi si allontanarono da Fuse seguendo ognuno lo spirito di uno dei figli. Poco tempo più tardi, i bambini si reincarnarono nascendo da genitori umani, e ognuno di loro ereditò una delle otto virtù: quando si riunirono diventarono noti come Hakkenshi, e il resto dell’opera segue le loro gesta e la loro lotta per la giustizia.
Himiko
Himiko è considerata una delle prime imperatrici del Giappone, e governava sulla terra di Yamatai (o Yematai) nella regione di Yamato. La sua figura si confonde spesso con quella di Amaterasu stessa ed è ammantata di mistero, perché pochissimi scritti che parlano di lei sono sopravvissuti fino a oggi. Secondo alcune cronache coreane, Himiko era una Sciamana, non si sposò mai durante il suo regno e non apparse mai in pubblico.
Lo zodiaco cinese
Come quello occidentale, lo zodiaco cinese è composto da dodici segni, che invece di essere assegnati ciascuno a un mese equivalgono ad un anno: come i “nostri” segni zodiacali, sono posti in un ordine ben preciso, e quando il ciclo finisce, l’anno successivo si ricomincia con il primo segno. Il primo è il Topo, seguito da Bue, Tigre, Coniglio, Drago, Serpente, Cavallo, Pecora (o Capra), Scimmia, Gallo (o Fenice), Cane e infine Maiale (o Cinghiale). Una buffa favoletta racconta il perché i segni dello zodiaco vengano in quest’ordine: la Grande Divinità (Okami) un giorno disse agli animali del creato di andare a trovarla nell’ultimo giorno dell’anno. Il primo ad arrivare sarebbe diventato il primo segno dello Zodiaco, e lo stesso onore sarebbe stato garantito a tutti gli animali che fossero giunti in seguito nello stesso giorno, seguendo ovviamente l’ordine del loro arrivo. Il topo, grazie alle sue piccole dimensioni, riuscì a nascondersi sul bue, che corse e corse finché non arrivò per primo all’appuntamento. A quel punto, il topo saltò giù dal suo dorso e si presentò alla Grande Divinità prima ancora che il bue potesse dire qualcosa: è per questo che il Topo è il primo segno e il Bue è il secondo. Questa, però, non fu l’unica scorrettezza commessa dal topo: quando il gatto, che non sapeva con precisione quale giorno presentarsi dalla Grande Divinità, chiese al topo la data esatta, questi gli rispose che l’appuntamento era per il primo gennaio (anziché per il trentun dicembre). Il gatto arrivò con un giorno di ritardo ed è per questo che non c’è il segno del Gatto, il tredicesimo: ancora oggi il gatto insegue il topo per vendicarsi di lui.
I tre tesori
I tre tesori della famiglia imperiale giapponese, si dice, appartenevano ad Amaterasu e sono stati portati sulla terra da Ninigi, suo nipote: essi dimostrerebbero la discendenza dell’Imperatore dalla Dea del Sole in persona e sebbene se ne supponga l’esistenza nessuno, a parte gli Imperatori stessi, li ha mai visti. Ognuno di essi rappresenta una delle tre virtù fondamentali dello shintoismo (ovvero quelle che praticamente sono raffigurate anche nella Triforce!): Kusanagi no Tsurugi, la spada, è il valore, i gioielli Yasakani no Magatama sono la saggezza e lo specchio Yata no Kagami è la benevolenza. I Magatama sono i classici gioielli ricurvi a forma di 9 che venivano creati già nel Giappone preistorico.
Daruma
Le avrete sicuramente viste in foto oppure nei fumetti: sono quelle bambole rosse (che somigliano un po’ a delle Matrioshka) con la faccia truce e spesso un solo occhio. Rappresentano il padre dello Zen, Bodhi Dharma, e si dice che portino fortuna: di solito si disegna un occhio il giorno in cui ci si prefigge di perseguire uno scopo importante, e l’altro quando l’obbiettivo è finalmente raggiunto.
Issun-boshi
[nella foto: statuine di Koropokkur]
Ecco un’altra storiellina che somiglia a una favola conosciuta da noi (in questo caso Pollicino): una coppia senza figli prega ardentemente di avere un bambino, e il bambino arriva, anche se è alto un solo Sun (circa 3 centimetri) e non cresce mai. Una volta cresciuto, Issun Boshi (il ragazzo alto un Sun) parte per fare fortuna, e i genitori gli danno un ago come spada e una ciotola da riso come imbarcazione, completa di un paio di bacchette che fungono da remi. Quando Issun diventa l’attendente di una principessa, un giorno la salva dall’assalto di due Oni che si lasciano dietro un martello magico (Lucky Mallet) che la principessa usa per trasformare Issun in un ragazzo di dimensioni normali e dunque sposarlo.
Heike Monogatari (Benkei e Minamoto no Yoshitsune)
Lo Heike Monogatari è una delle opere letterarie più importanti del Giappone: azzardando un paragone molto alla lontana, si potrebbe dire che è per un giapponese quello che per noi è l’Iliade, e narra della faida tra il clan di samurai Minamoto, i guerrieri dell’est, contro quello dei Taira, i guerrieri dell’ovest che occupavano la capitale Heiankyo (un episodio ricordato come “guerre Genpei” e realmente avvenuto verso la fine del dodicesimo secolo, se non ricordo male il periodo, che ha posto fine al predominio della corte di Kyoto e ha iniziato l’era del comando degli shogun). Due figure importantissime della storia sono Minamoto no Yoshitsune, uno dei protagonisti dei disordini Genpei, e il monaco guerriero Saito Musashibo Benkei. Minamoto no Yoshitsune, chiamato anche Genji (uno degli pseudonimi del clan Minamoto), viene a volte raffigurato nelle pièce teatrali (e nei film e nei videogiochi) come un giovane di straordinaria bellezza, anche se lo Heike Monogatari non ne decanta in particolar modo la bellezza ma semmai il contrario. Probabilmente lo si fonde a livello inconscio con Hikaru Genji, il protagonista del famosissimo romanzo Genji Monogatari, che è descritto come un uomo bellissimo e che apparteneva, anche se solo di nome, proprio al clan Minamoto. Il nome infantile di Yoshitsune era Ushiwakamaru (牛若丸) o Ushiwaka: moltissime leggende circondano il suo nome, e si dice che fosse uno stratega incredibile e un guerriero senza pari, anche se fu costretto al suicidio quando le truppe di suo fratello Yoritomo circondarono l’eremo in cui si nascondeva senza lasciargli una sola via di fuga. Per quanto riguarda il suo legame con Benkei: il monaco guerriero aveva raccolto, nei suoi duelli sul ponte di Gojo, ben 999 spade appartenute agli avversari. A un certo punto gli venne in mente di sfidare Ushiwaka (Yoshitsune), che passava di lì, per la sua millesima spada: Ushiwaka lo batté e Benkei divenne il suo braccio destro, arrivando a sacrificare la vita per proteggerlo dai nemici.
Momotaro
Forse qualcuno già conoscerà la storia di Momotaro, il bambino nato da una pesca e trovato da un’anziana coppia (un po’ come Kaguya nel bambù). Diventato un ragazzo fortissimo, Momotaro decide di andare a scacciare gli Oni che vivono su Onigashima, l’Isola degli Oni, assieme a tre compagni animali. I quattro sconfiggono gli Oni e trovano il tesoro del villaggio di Momotaro.
Gli Ainu
Un po’ come i nativi americani, gli Ainu erano la popolazione originaria del Giappone, o meglio dell’isola più a nord, Hokkaido (che spesso viene caratterizzata nei fumetti come freddissima e perennemente avvolta dalle nevicate, oltre che molto più selvaggia dell’Honshu, l’isola principale: per darvi un’idea della sua geografia, comunque, è l’isola di Sapporo e Hakodate). Ormai sono ridotti a vivere in piccole riserve, e anche somaticamente sono diversissimi dai giapponesi odierni: sono molto pelosi e spesso si coprono il corpo di tatuaggi. Il loro popolo, anticamente, non conosceva l’uso della ruota (o almeno questa è la particolarità più strana che mi ha raccontato il prof di Storia giapponese XD ) e la loro lingua, per quanto labilmente simile a quella giapponese, in realtà non ha niente a che vedere con essa. Gli Ainu credono nell’esistenza dei Koropokkur, creaturine minuscole simili al piccolo popolo che vivono nel sottosuolo ed hanno insegnato loro molto di ciò che sanno. Uno degli eroi più importanti per gli Ainu è Okikurmi, una specie di Prometeo, ovvero un essere semidivino disceso dal cielo per far conoscere agli Ainu l’uso del fuoco, l’arco e le frecce, la pesca e la venerazione degli dei. Anche se visse per un certo periodo in un villaggio Ainu, un giorno se ne tornò da dove era venuto. I poemi di lode agli dei, cantati solitamente dalle donne, si chiamano Oina, mentre la parola Ainu per “dio” è Kamui.
[nella foto: abito Ainu tradizionale]
La volpe a nove code
Una delle creature più potenti del folklore giapponese è sicuramente il kitsune (volpe), che può essere sia malvagio che benevolo nei confronti degli umani (come ad esempio Inari, il dio della prosperità). I kitsune si trasformano spesso in donne dalla bellezza sovrannaturale che incantano gli uomini e succhiano la loro forza vitale oppure possiedono giovani fanciulle che mostrano subito il loro stato poiché i loro tratti facciali si fanno più simili a quelli di una volpe. Il potere di un kitsune si misura dal numero delle code (a tal proposito si dice che il design di Miles “Tails” Prower, il migliore amico di Sonic, sia ispirato ai kitsune), che va da una a nove: la volpe a nove code è un essere millenario quasi divino ed è chiamata Kyubi o, in cinese, Tsudzurao.
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