Archivio per luglio 2008

Cool Guys: Kyle Hyde

“Non muoverti!”

Da: Hotel Dusk: Room 215
Vero Nome:
… Kyle Hyde
Cool Quote: “What story? Which problem?”
Pro: L’espressività facciale, il pizzetto, le ombreggiature tratteggiate
Contro: Cleptomania e ficcanasaggine congenite

Incrocio improbabile ma forse anche no tra il detective tutto d’un pezzo da film noir, implacabile e rotto alle ingiustizie della vita, e un venditore porta a porta querulo e impiccione. Kyle sa comportarsi da vera testa calda (perdendo punti sul voto finale), ma in fondo è un ragazzo d’oro dal cuore di panna. Come m’è venuta questa? Ah, non chiedetemelo.

Cool-O-Meter: 7

[Proposto da Sl88]

 

Dolci storie di vita

Cliccate sull’immagine qui sopra per accedere alla galleria di Photobucket contenente tutte le pagine.

A velocità lampo ho completato la traduzione di queste rarefatte storielle brevi su Death Note aventi per protagonista assoluto L, con narrazione di Watari. Uscite di recente nel photo book L file no. 15, sono piccoli spuntini dal taglio vagamente surrealista, disegnati divinamente con colorazione parziale e una caterva di invenzioni grafiche (non so come faccia Obata: forse è un essere sovrannaturale). Inoltre, il ritmo lento e l’accento posto su un singolo personaggio fanno da contrappunto all’impostazione thriller dell’opera originale, virando verso toni decisamente inusuali. Una lettura di pochi minuti che chiunque apprezzi la serie dovrebbe fare, vista l’opportunità di sbirciare nella vita privata di uno dei personaggi più strani del mondo dei manga. Si vede pure L piccolo, cioè: aspettavo questo momento da quando ho cominciato a leggere il fumetto e ad amarlo!

Il libro intero contiene varie foto di Ken’Ichi Matsuyama nei panni di live!L, le ministorie di cui sopra, un redesign in cui Obata Takeshi reinterpreta l’L dei film dal vivo e il diario di Watari. I credit a chi di dovere quando capirò chi ha eseguito le scansioni.

Brutal Legend

Giocando in retrospettiva opere rimaste nella memoria collettiva del videogioco tento sempre di individuarne i motivi che hanno decretato tale permanenza. Per quanto concerne Full Throttle, credo di aver reperito uno dei motivi del suo fascino in qualcosa di più che il suo essere un vero film animato interattivo, comunque fattore non indifferente su cui tornerò fra qualche riga. La corrispondenza tra il suo protagonista e il modo d’interagire col mondo circostante, infatti, non potrebbe essere più totale. L’interfaccia si spoglia di gran parte delle opzioni, ridotte a una mano chiusa a pugno, a un teschio con occhi e bocca per esaminare e parlare e a un anfibio per prendere allegramente a calci quel che capita a tiro. Opportunità e limiti sono comunicati e giustificati a perfezione dal carattere stesso di Ben: brusco, taciturno, rozzo. Se qualcosa non gli piace, reagisce con un verso di disgusto; se qualcosa lo lascia perplesso, grugnisce. Se non vuole compiere una determinata azione, lo lascerà capire con un aggressivo ‘No!’ che non ammette repliche e non apre certo alle meticolose spiegazioni condite di battute sarcastiche di un Guybrush o di un Indy.

 

Il secondo motivo d’interesse (non volendo considerare il terzo, o forse primo: l’appartenenza alla scuderia LucasArts) è l’amalgama audiovisivo in concerto con storia e ambientazione. Il setting squisitamente americano di Full Throttle è di tipo apocalittico à la Mad Max, con le sue bande di motociclisti e le poche città in abbandono tra gl’immensi deserti che divorano pian piano ogni opera dell’uomo, mentre i valori umani e sociali, già alla deriva, si spogliano giorno dopo giorno di ogni significato residuo. Full Throttle scansa il buonismo come la peste nera, non per questo rinunciando ad una divertita ironia talvolta piuttosto macabra, e popola il suo cupo scenario post-industriale di figure rese con un tratto elaborato da un filtro pastoso che dà l’idea di disegni colorati al rodovetro, e animate con una perizia da vero lungometraggio che rende a perfezione le movenze scimmiesche di Ben e le sequenze più rocambolesche, come quelle sul finire della storia. La storia. In Full Throttle si interagisce poco e in maniera tutto sommato semplice, solo per vedere la prossima cut scene, ma queste ultime sono realizzate così bene che ogni passo compiuto verso un atto risolutivo della vicenda è per il giocatore una gratifica che va ad aggiungersi a quella classica dell’essere riusciti a sbrogliare una situazione con il proprio ingegno. Full Throttle non è certo il mio adventure Lucas preferito (gli onori spettano ancora a Monkey Island 1 e 2, Indy 4, Sam & Max Hit the Road e Loom), ma possiede quel carisma insito nella direzione artistica e nella coerenza di fondo che basta a guardarlo e giocarlo con piacere fino alla fine. Un punta e clicca d’autore, indubbiamente.

What the everloving hell

Kudos to V.A.F.F.F.A. per aver reperito questa piccola gemma dai meandri della Rete. Purtroppo non ho altri nomi/link che creditino debitamente gli autori di cotal demente crossover, ma a loro va la mia ammirazione.

On a side note, ne approfitto anche per dire che nonostante adori Animal Crossing non ho la minima voglia di giocare per la terza volta lo stesso gioco su Wii, kthxbye Nintendo.

Ma lol (quiz inside)

In questa pila sono buttati alla rinfusa vari giochi che ho in backlog o semplicemente intenzione di saggiare/proseguire un giorno o l’altro. Ce ne sarebbero altri in prestito per la prova che non ho incluso, mentre i giochi per Xbox in mezzo, i cui nomi non sono leggibili, sono Assassin’s Creed, Devil May Cry 4 e Knights of the Old Republic. Contando che in questa colonna non figurano i titoli non miei (Dead Rising, Mass Effect, GTAIV, Odin Sphere, FFXII e Phantasy Star Complete Collection, ovvero altri 4 giochi in uno) né quei 4/5 di mio interesse in uscita entro la fine dell’anno, a vostro parere potrei riuscire a completarli tutti come si deve prima del pensionamento?

Day by day, week by week

Week 1, Day 1

Quando Neku si sveglia sul selciato dello Scramble Crossing, più che la sensazione di mistero e di spaesamento che m’aspettavo di provare, ho considerato la sceneggiatura affrettata e poco incisiva, superficiale come dettano le regole del videogioco ggiusto e gggiovane. Ancor più accentuato, qui, visto che è proprio la peggio gioventù di Shibuya e la passività con cui questi ragazzi flashati affrontano la vita il tema su cui si incentra la trama di The World Ends With You, che al target di riferimento si adegua con delle frasette brevi, nervose, che scorrono a fiumi in fiumi di balloon. Roba di quattro parole e un punto, così da non sforzare un attention span sempre più compromesso dal multitasking cerebrale. I menu e il sistema di combattimento, invece, sono un overflow di input che al primo impatto risultano assolutamente incomprensibili per colpa di una pessima organizzazione di spiegazioni e tutorial. Poco male, in fondo: nei giochi di una volta si veniva scaraventati nel mezzo dell’azione senza che nessuno si degnasse di offrirci una mano se non sui concetti più basilari, e così accade in TWEWY, dove le nozioni vanno apprese empiricamente. Quel che mi mette il nervoso addosso, semmai, è che appena piombata in uno dei primi combattimenti, con le pin che mi sono state frettolosamente affibbiate pochi minuti addietro, non riesco a farne funzionare nemmeno una se non per sbaglio: quella del fuoco, tipo cerino, non scatena nessuna fiamma perché secondo il gioco sto toccando la parte sbagliata dello schermo, pin con modalità di attivazione simili fra loro producono attacchi a casaccio e, porca miseria, quella fighissima stalagmite di ghiaccio non ne vuol proprio sapere di spuntare dal terreno. Eppure lo sto facendo giusto, dannatissimo gioco! Bah, che rabbia. Chissà cosa ci ha visto la gente che ne ha cantato tutte quelle lodi sperticate, tipo “OMG best DS game evah!”: quando provo un gioco del genere e la mia impressione non collima, mi vien quasi da prendermela con lui più che con me stessa, che ancora prendo come oro colato gli elogi altrui ritenendoli di validità universale. Primo impatto: comunque positivo, ma con qualche riserva.

 

Week 1, Day 3

Riadeguate le aspettative, comincio ad apprezzare le musiche frizzanti e vivaci e la grafica minuta che stuzzica il mio amore mai sopito per gli sprite e le due dimensioni. I personaggi continuano a soffrire della loro fastidiosa logorrea singhiozzante, ma alcuni almeno sono ben disegnati e simpatici, tipo Hanekoma e qualche Reaper. Neku è il tipo di protagonista a cui metterei volentierissimo le mani addosso, ma almeno è coerente con la sua età e da bravo quindicenne musone si strugge, povera stella, perché nessuno lo capisce e nemmeno lui si capisce. Tratta male tutti e risponde a monosillabi o non risponde proprio: che sia stato per un mese o un anno, chiunque è passato attraverso questa fase dannata.

               I problemi a far funzionare le pin si sono trasformati in problemi perenni di coordinazione tra lo schermo inferiore e quello superiore: se muovo Neku sul touch screen ed eseguo gli psych col pennino mi scordo di Shiki, che per fortuna ha la modalità automatica inserita, e se viceversa provo a concentrarmi su di lei usando la croce direzionale lascio Neku lì impalato come un salame a subire le angherie nemiche. Sono sempre stata impedita nel gestire due movimenti diversi contemporaneamente e lo resterò; inoltre con qualche strana manovra che non riesco a riprodurre ho spostato le icone delle pin in posizioni strane sullo schermo della battaglia, una addirittura al centro. Quel che apprezzo sempre di più, invece, è l’interscambio costruttivo tra la cornice e il gameplay. Sistema di gioco ed equipaggiamento traboccano di variabili numeriche e caratteristiche che si è liberi d’ignorare o di approfondire studiandole e ancora non ne ho capito nemmeno la metà (i tutorial continuano a non aiutare); comunque, esse ben riflettono l’overdose di informazioni cui ogni persona non tecnologicamente refrattaria viene sottoposta nel distretto più frenetico, convulso e modaiolo di tutta Tokyo. L’ambientazione in questione, ricreata in modo certosino all’interno del gioco, e la questione dei trend (altra delle mille variabili di cui sopra) di converso non rendono l’insieme indigesto a chiunque abbia superato i quindici anni, ma, pur caratterizzando fortemente ogni aspetto del sistema di gioco, anzi proprio per questo, vi si incastrano a perfezione contribuendo a renderlo più complesso e intrigante. I due aspetti coesistono in perfetta armonia influenzandosi a vicenda, e l’atmosfera che permea il gioco può essere letta a più livelli a seconda dell’età anagrafica del fruitore: di affinità spirituale ed entusiasmo se molto giovane, di curiosità cultural/folkloristica se già al disopra della soglia del target medio. Non infastidiscono nemmeno le derive hip-hop, da vedere nell’ottica del setting stesso e non come sostanza urticante e autocelebrativa.

 

Week 1, Day 5

Bella rivelazione nella trama. Molto interessante, calza come un guanto alla tematica dell’inerzia esistenziale e fa capire parecchie cose delle premesse; non sembra uno sviluppo posticcio, ma qualcosa di pianificato in anticipo e consapevolmente intessuto, di cui vanno mano a mano scoperti i tasselli. Dal lato del gameplay, è buffo notare come tutte le informazioni oscure contenute negli help delle varie pagine del menu diventino perfettamente chiare una ad una dopo aver sperimentato e combattuto ripetutamente. Ho anche abbassato il livello tramite la barra mobile nel menu, cosa che decresce gli HP ma non il potere d’attacco e difesa e in compenso aumenta la quantità di pin ricevute, cosa che abbinata alle chain di nemici mi ha fatto accumulare un sacco di roba superflua.

 

Week 1, Day 7

Mi diverto a cercare oggetti interessanti nei negozi, adoro feticisticamente le raffigurazioni in miniatura di vestiti e cibarie e le prospettive distorte degli scenari, raffigurati a campiture in tinta unita di nero e di colori grigi, spenti, “urbani”, con rari sprazzi di sgargiante rosso e altri colori primari o secondari. Ho anche capito come funziona l’evoluzione delle pin, ma come al solito quando si tratta di grindare il livello dover combattere ripetutamente gli stessi nemici mi annoia e mi dà abbastanza la nausea.

 

Week 2, Day 1

Ma lol, ho beccato un riferimento a Ouendan! È come se tutti i migliori titoli DS fossero linkati da un’aura di affinità o da una catena di mutue citazioni e strizzatine d’occhio. Ebbene sì, alla fine l’ho detto: TWEWY è eccentrico, richiede del tempo prima di affezionarcisi sul serio (almeno con la diminuita elasticità mentale di un’ultraventenne rintronata quale sono), ma alla fine si rivela per quel che è, ovvero un titolo curato fino all’inverosimile e pieno di tante piccole chicche. Sono stata irragionevolmente compiaciuta di scoprire che le storielle nascoste nelle menti della gente che attraversa la Shibuya RG (questa la capisce solo chi ci ha giocato) sono andate avanti con la transizione settimanale.

 

Week 2, Day 2

Joshua è un bel personaggio, ma decisamente irritante da controllare per via del minor danno che provoca, dell’impossibilità di saltare (dio mio, quanto odio dover schivare: ho il tempismo di un bagonghi ubriaco) e del suo odiosissimo metodo d’attacco, consistente in una pioggia di cartelli stradali e coni del traffico. Ormai, comunque, so usare con padronanza le mie varie pin e, anche se ho capito il sistema della moda, dato che mi intralcia più che assistermi ho deciso di ignorarlo in parte, limitandomi ad esser contenta se una marca mi dà dei bonus sull’attacco. Cavoli, è divertente cercare i Noise suini e soddisfare le varie condizioni richieste per la loro sconfitta, specie perché lasciano in dote delle pin uniche e io adoro il concetto di drop e nemici rari, che soddisfa il mio feticismo intrinseco per questo tipo di cose. Vorrei far rifornimento di un po’ di materiale per gli oggetti delle quest, quindi ogni tanto vario la difficoltà dal menu per controllare i vari drop dei Noise. Non mi capita spesso di essere così sollecitata a provare e riprovare tante combinazioni per divertirmi a scoprire gli effetti, specie di questi tempi in cui il backlog da paura mi strappa sempre ai giochi che mi divertono, ma non abbastanza da mettermi a cercare troppe subquest imbucate. Qui, invece, sono contenta se trovo una nuova quest, anche se spesso non ho gli ingredienti giusti.

Contribuisci anche tu alla galleria dei Cool Guy!

Ordunque, la prima serie di Cool Guys by la sottoscritta s’è temporaneamente conclusa la scorsa settimana, con la pubblicazione del fygo più alto in grado nella mia collezione che comunque non impedirà comparsate di chiunque abbia dimenticato (e ho già in mente un paio di tipini niente male… *hint hint nudge nudge immagine d’apertura del post*). Ora, però, tocca a voi: non importa che siate ragazzi o ragazze, avrete sicuramente un personaggio maschile che, per un motivo o per l’altro, considerate il top della coolness raggiungibile in un videogioco, in un fumetto, in un anime o in quel che volete voi. Avete l’opportunità di propormi di inserirlo nella galleria e di sapere cosa penso del personaggio in questione tramite una breve analisi semiseria che spazia dall’aspetto al carattere o a qualunque cosa mi venga in mente per scrivere più boiate possibile e si conclude con il solito voto numerico da 0 a 10. Partecipare è molto semplice: basta seguire queste linee guida.

– Inviatemi via PM su Splinder o all’indirizzo sharirvek [at] mclink [dot] it un’immagine del Cool Guy in questione, quella in cui egli palesa il più possibile, a vostro avviso, la sua figosità intrinseca o comunque viene immortalato dall’angolazione migliore o più significativa per la sua caratteristica di spicco;
– Nel testo della mail o del messaggio, compilate le voci della scheda che solitamente associo a ogni personaggio, ovverosia:
Nome con cui è conosciuto
Opera di provenienza
Vero Nome o nome completo del personaggio
Una quote, una frase memorabile pronunciata dal personaggio, che ritenete particolarmente significativa o quella che più giustifica la sua inclusione nella galleria. Preferibilmente nel linguaggio nativo dell’opera, al massimo in inglese se la stessa proviene dal Giappone
Facoltativamente, una breve descrizione di chi sia il personaggio e di cosa abbia fatto in particolare per meritare l’onore

Note:
Non inviate da recensire persone reali. Solo personaggi, poi che siano interpretati da un attore o disegnati non fa differenza;
– Mi riservo il diritto di non pubblicare subito entry di personaggi appartenenti a videogiochi/quant’altro che sia interessata a fruire in un prossimo futuro (detta brutalmente, preferisco non spoilerarmi);
– Ovviamente, sono terribilmente di parte e ho le mie preferenze in materia, quindi non vi offendete se Marcus Fenix si beccherà zero spaccato. Essendo la mia gallery, vedrò i personaggi dal mio punto di vista.

Date inizio alle danze! E sì, se ve lo steste chiedendo, l’iniziativa è spudoratamente rippata da quella delle e-Gnocche del blog di Metalmark.

Cielo e terra

Quando Squaresoft ed Enix erano ancora due società separate nel pieno della loro battaglia senza esclusione di colpi per decretare chi dovesse dominare il mercato dei JRPG su SNES, la Enix, in collaborazione con Quintet, creò tre action RPG piuttosto particolari tutti appartenenti a un ideale filo conduttore, con l’intento probabilmente di fornire una valida alternativa a Secret of Mana: Soul Blazer, Illusion of Time (originariamente Illusion of Gaia) e Terranigma. Questa è la storia della pecora nera del terzetto, quell’Illusion of Time che si discostava per storia e per gameplay sia dal suo predecessore che dall’immediato successore.

 

La storia di Illusion of Time, ancorché lineare e nient’affatto complessa, è certamente uno degli elementi su cui più fa leva l’esperienza assieme alla crescita psicologica dei personaggi e alla raffigurazione di scenari esotici. Il mondo è minacciato dalla venuta di una misteriosa cometa, di natura forse maligna, che molto tempo prima aveva influenzato il corso dell’evoluzione del pianeta e l’aspetto della sua superficie. I primi momenti di gioco ci introducono in un’aula in cui il protagonista Will ed i suoi tre amici stanno assistendo ad una lezione. Bisogna dire prima di continuare che il mondo in cui ci troviamo davanti non ha proprio nulla di moderno, ovviamente: è il tipico mondo da JRPG a metà tra il rinascimentale ed il fantasy, senza alcuna intrusione partiolarmente tecnologica e/o futuribile, e alla fine scopriremo anche perché. Will è dotato, inesplicabilmente, di poteri ESP, e per questo è visto con curiosità ed invidia dai suoi amici, che spesso gli chiedono di dimostrare le sue capacità muovendo oggetti con il pensiero e indovinando le carte coperte, azioni che dovrete compiere voi stessi in un agile tutorial nascosto; può inoltre accedere a un’altra dimensione solo a lui visibile e comunicare con la Madre Terra Gaia, che lo sostiene e gli dona nuovi poteri.

               Will vive con i nonni poiché ha perso la madre, morta molti anni prima, e il padre, scomparso durante un viaggio alla volta della Torre di Babele ma di cui può sentire la voce per mezzo del particolare flauto che si porta dietro (e che gli serve anche da arma). Durante il suo viaggio alla scoperta del mistero della cometa che si avvicina alla Terra, nonché del destino del padre, Will visiterà le rovine perdute dell’antichità, quelle che suscitano in tutti noi meraviglia e domande: i disegni di Nazca, le Piramidi egiziane, la Grande Muraglia, il tempio di Ankor Wat e molti altri luoghi misteriosi, con il gran finale in cima alla Torre di Babele e, forse, ancora più in alto… il tutto condito da una girandola di amici vecchi e nuovi che si aggiungeranno alla cricca iniziale e da eventi assortiti, alcuni piuttosto strani e inesplicabili, comunque narrati in modo efficace. La trama infatti, pur nella sua semplicità e nella sua esecuzione talvolta frettolosa (specie all’inizio), è davvero ben fatta, spesso commovente e piena di avvenimenti che ribalteranno la situazione iniziale, oltre che pervasa da una certa aura di malinconia e struggimento che rende l’atmosfera ancor più suggestiva.

Lo Sky Garden, mappa enorme e double face, era la mia ambientazione preferita, e la sua musica una delle più belle del gioco.

 

Le meccaniche di gioco non presentano granché di nuovo: si tratta di un action RPG in pompa magna, con combattimenti completamente in tempo reale, senza level up compatti né nessuna statistica numerica particolarmente astrusa o incomprensibile, molto à la Zelda. Nel semplice menu, oltre all’inventario, si possono consultare le caratteristiche di Will e le abilità da lui apprese. A questo punto occorre dire che il fulcro dei dungeon (separati strutturalmente dalle fasi di esplorazione e dialogo, in cui non è possibile utilizzare nessuna arma) sta tutto nelle trasformazioni che Will può subire: non capita di rado, facendosi strada nei livelli, di trovarsi di fronte ad ostacoli insuperabili per un soldo di cacio come il nostro eroe. In questi casi Gaia, lo Spirito della Terra, ci viene in aiuto donandoci un nuovo aspetto, in pratica la realizzazione perfetta delle più sfrenate fantasie infantili associabili a un protagonista in giovane età: Freedan, un cavaliere in armatura nera e con tanto di spadone. Grazie a questo nuovo personaggio si possono raggiungere nemici ed interruttori più lontani e godere di un aumentato potere d’attacco. Proseguendo col gioco sia Will che Freedan si arricchiscono di nuove mosse ed attacchi, eseguibili con delle semplici sequenze di pulsanti, che permetteranno anche di sbloccare le situazioni e visitare aree apparentemente inaccessibili. Un’ultima trasformazione, resa disponibile unicamente nelle battute finali del gioco, è quella con cui Will diventa Shadow, un guerriero creato con l’essenza della cometa che può attraversare i pavimenti e attaccare con la semplice forza del suo braccio. Usare Shadow, va precisato, non dà un’oncia del divertimento e dell’esaltazione provate roteando la durlindana di Freedan, per quanto le sue potenzialità sembrino indicare l’esatto contrario, in parte a causa della rigidità del suo attacco principale. Il sistema di equipaggiamento ed uso di oggetti va di pari passo con la generale semplicità di Illusion of Time, pur risultando confusionario all’inizio: entrati nell’inventario, basta premere B sull’oggetto desiderato e ripetere l’azione sullo schermo per utilizzare l’oggetto, attivando spesso eventi della trama (come accade ad esempio nel caso delle melodie del flauto). Avrete forse ormai capito che non è possibile cambiare l’arma di Will, il quale peraltro non può contare su alcun party essendo i suoi compagni, pur se importanti per la storia, fondamentalmente tutti imbelli o comunque non giocanti.

               L’energia vitale, anch’essa in pieno stile Zelda, è mostrata attraverso una serie di sferette anziché con il solito numero sotto una barra. Quando si sconfiggono tutti i nemici di una stanza si riceve un upgrade nella difesa, nell’attacco o nella vita, e una nota di comodità in più sta nella possibilità di vedere anche i punti ferita degli avversari ogni qualvolta li si tocca; non fanno eccezione nemmeno i boss, molti dei quali decisamente difficili, lunghi e coreografici sebbene si riducano perlopiù alla classica ripetizione di uno stesso pattern.

 

Concludendo con l’aspetto tecnico, la grafica è notevole, colorata e ricca di elementi fantasiosi, nonostante talvolta faccia un effetto piuttosto bizzarro; gli sprite e i background sono enormi, quasi sproporzionati, molto superiori alla media del periodo, e se i personaggi possono beneficiare del character design della mangaka Moto Hagio, storica autrice di shojo, curiosamente non evitano una caratterizzazione grafica piuttosto piatta e un tantino banale, oltre a non essere particolarmente ben disegnati negli artwork: paradossalmente, Freedan è ad esempio molto meglio in-game che non nel suo portrait. Gli sfondi sono invece il vero punto forte dell’art direction, specie quando cominciano a presentare ambientazioni veramente fuori dagli schemi: la foresta dei funghi giganti è un lisergico ed efficace sunto della bellezza degli scenari, che d’altronde si confà all’enfasi posta sul viaggio del gruppo. Più eccentriche ancora sono le musiche, le cui sonorità inaudite e le intenzionali dissonanze sono molto, molto lontane dalle pompose sinfonie di casa Square. Il compositore ha prediletto BGM spesso orientaleggianti e spesso fortemente basate sulle percussioni, lente e talvolta quasi timorose di rompere la solennità di un momento particolarmente drammatico o sospeso.

              Il quadro d’insieme presenta un gioco ben riuscito sotto tutti gli aspetti, con una trama coinvolgente anche se non spropositatamente lunga (non pensate a un Final Fantasy VI d’azione, per intenderci), bello e divertente da giocare e che non esce per nulla sconfitto nel confronto con gli altri titoli contemporanei dello stesso genere. Alcuni storceranno forse il naso nel ritrovarsi con un’avventura che non fa nulla per nascondere i binari che il giocatore deve percorrere, ma si tratta di un gioco consigliato a tutti gli amanti di action RPG.

[Da un articolo scritto nel 2004 e da me riveduto, corretto e ampliato in occasione della ripubblicazione sul blog]

Consigli per la lettura: Xenogears Perfect Works

Sull’onda della lettura di Hyperion mi sono ritrovata a tracciare un parallelo, molto probabilmente campato per aria data la mia palese e risaputa tendenza alla fissa patologica, con uno dei miei videogiochi preferiti e ho finalmente letto la traduzione in inglese (purtroppo incompleta ed incompiuta) del Perfect Works di Xenogears reperibile su GameFAQs. Ovviamente ne posseggo anche una copia cartacea, comunque imprescindibile, ma sapevo che tentare di tradurla mi avrebbe procurato un forte mal di testa e una mancanza di tempo ancora peggiore del solito. L’emicrania non sono comunque riuscita a evitarla: il Perfect Works bombarda con quantità di input allucinanti snocciolando punto per punto una timeline chilometrica, che parte addirittura dal 2001 del calendario terrestre e arriva fino all’inizio del gioco dettagliando con precisione i maggiori avvenimenti storici. Proseguendo si incontrano spaccati di tutti i personaggi che ne studiano il carattere, le motivazioni e la storia personale, cenni sull’organizzazione socioeconomica delle nazioni di Kislev e Aveh, sulla fondazione della Chiesa di Nisan (solo accennata nel gioco) e su Solaris; spiegazioni delle nozioni scientifiche implicate nel gioco con tanto di schemini del funzionamento del supercomputer Raziel e di Deus (dallo Zohar al programma Hawwa), delle nanomacchine eccetera e delucidazioni sul naufragio della Eldridge, sul processo di creazione della specie umana su Ignis e sul ruolo del Ministero di Gazel e di altra brutta gente, tanto che sarà impossibile affermare di non aver capito ancora qualcosa se a questo si affianca un buono script del gioco. Tranquilli, non stavo dimenticando le schede di tutti i Gear, con il funzionamento delle abilità speciali di ciascuno e le misurazioni nel sistema locale (imparate tutti a cosa si può arrivare per amore del proprio mondo immaginario: mancano giusto i dizionarietti di solariano, tipo quelli di Klingon per Star Trek), e il manuale di zoologia con le descrizioni dei mostri. E una palata di altra roba, di cui le illustrazioni, gli sketch e i portrait dei personaggi non costituiscono che la più immediata delle gratificazioni.
    Questa in estrema sintesi è la reale complessità dell’universo di Xenogears. Viene quasi da dire che il gioco, con tutto il suo turbinio di eventi, non ne costituisca altro che la proverbiale punta dell’iceberg, se mi passate la frase fatta. Lo studio di questo volume, casomai qualche fan non ne fosse ancora a conoscenza, è di fondamentale importanza come compendio all’esperienza videoludica che comunque va fatta di prima mano, a mio avviso, per poter apprezzare tanto ben di dio. Come dicevo in apertura, alla fine la testa mi doleva, ma dentro di me la soddisfazione di aver compreso tante altre cose che mai avrei sospettato era decisamente più forte, e non ho nemmeno ancora finito di spulciarmelo come si deve. Una goduria vera.

Dimenticavo la reperibilità: trovare anche solo la riedizione di Digicube è ormai un’ordalia di sofferenze indicibili tanto per l’anima quanto per il portafogli. Provate su eBay con le keyword “perfect works” (tra virgolette per filtrare meglio i risultati) e preparatevi a cifre oltre i 100 euro.

Cool Guys: Miles Edgeworth

Da: Phoenix Wright: Ace Attorney
Cool Quote: “Objection! Verily, I say… ergo!”
Vero Nome: Vedi sopra (in originale: Reiji Mitsurugi)
Pro: La spocchia
Contro: La spocchia

Completo viola (capito? Viola), vaporoso jabot al collo, un solo capello tirabaci fuori posto, stile impeccabile. Miles Edgeworth è il primo rivale di Phoenix Wright e si erge a innumerevoli altezze sopra tutti gli altri, sempre e comunque, dimostrando una volta di più che i personaggi migliori sono quelli complessi e sfaccettati, che crescono col tempo e mescolano in sé orgoglio e fragilità. Da grande voglio essere Edgeworth, a dispetto della malasorte scatenata che lo perseguita.

Cool-O-Meter: 10
[nota: il massimo dei voti dipende dalla bellezza dell’insieme, non dalla perfezione]


In ottemperanza al provvedimento emanato, in data 8 maggio 2014, dal garante per la protezione dei dati personali, si informano i visitatori che questo sito utilizza i cookie per effettuare statistiche del numero di visite in via del tutto anonima. Proseguendo con navigazione si presta consenso all'utilizzo dei cookie. Per maggiori informazioni si prega di consultare le politiche sulla privacy di Automattic.

Achtung spoiler

Sono stata avvertita dal Comitato Contro lo Spoiler Selvaggio che, se non avessi inserito questo avviso, dei ninja in tutù avrebbero visitato la mia cameretta per squartarmi con una lama da polso alla Altaïr. Ricordate dunque che, se temete spoiler, dovete stare molto attenti a leggere in depth o riflessioni personali sui miei giochi preferiti, in quanto qua e là rivelo cose importanti sulla loro storia. Se non avete giocato i titoli in questione, be very careful.

Last Game Pro issue

In progress

Gioco a:
Layton Kyoju Vs. Gyakuten Saiban (3DS), L.A. Noire (PS3)

Leggo:
Il seggio vacante, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, Il manga

Guardo:
Recuperi cinefili vari (ultimo visto: Ralph Spaccatutto), L'ispettore Coliandro