Quando Squaresoft ed Enix erano ancora due società separate nel pieno della loro battaglia senza esclusione di colpi per decretare chi dovesse dominare il mercato dei JRPG su SNES, la Enix, in collaborazione con Quintet, creò tre action RPG piuttosto particolari tutti appartenenti a un ideale filo conduttore, con l’intento probabilmente di fornire una valida alternativa a Secret of Mana: Soul Blazer, Illusion of Time (originariamente Illusion of Gaia) e Terranigma. Questa è la storia della pecora nera del terzetto, quell’Illusion of Time che si discostava per storia e per gameplay sia dal suo predecessore che dall’immediato successore.
La storia di Illusion of Time, ancorché lineare e nient’affatto complessa, è certamente uno degli elementi su cui più fa leva l’esperienza assieme alla crescita psicologica dei personaggi e alla raffigurazione di scenari esotici. Il mondo è minacciato dalla venuta di una misteriosa cometa, di natura forse maligna, che molto tempo prima aveva influenzato il corso dell’evoluzione del pianeta e l’aspetto della sua superficie. I primi momenti di gioco ci introducono in un’aula in cui il protagonista Will ed i suoi tre amici stanno assistendo ad una lezione. Bisogna dire prima di continuare che il mondo in cui ci troviamo davanti non ha proprio nulla di moderno, ovviamente: è il tipico mondo da JRPG a metà tra il rinascimentale ed il fantasy, senza alcuna intrusione partiolarmente tecnologica e/o futuribile, e alla fine scopriremo anche perché. Will è dotato, inesplicabilmente, di poteri ESP, e per questo è visto con curiosità ed invidia dai suoi amici, che spesso gli chiedono di dimostrare le sue capacità muovendo oggetti con il pensiero e indovinando le carte coperte, azioni che dovrete compiere voi stessi in un agile tutorial nascosto; può inoltre accedere a un’altra dimensione solo a lui visibile e comunicare con la Madre Terra Gaia, che lo sostiene e gli dona nuovi poteri.
Will vive con i nonni poiché ha perso la madre, morta molti anni prima, e il padre, scomparso durante un viaggio alla volta della Torre di Babele ma di cui può sentire la voce per mezzo del particolare flauto che si porta dietro (e che gli serve anche da arma). Durante il suo viaggio alla scoperta del mistero della cometa che si avvicina alla Terra, nonché del destino del padre, Will visiterà le rovine perdute dell’antichità, quelle che suscitano in tutti noi meraviglia e domande: i disegni di Nazca, le Piramidi egiziane, la Grande Muraglia, il tempio di Ankor Wat e molti altri luoghi misteriosi, con il gran finale in cima alla Torre di Babele e, forse, ancora più in alto… il tutto condito da una girandola di amici vecchi e nuovi che si aggiungeranno alla cricca iniziale e da eventi assortiti, alcuni piuttosto strani e inesplicabili, comunque narrati in modo efficace. La trama infatti, pur nella sua semplicità e nella sua esecuzione talvolta frettolosa (specie all’inizio), è davvero ben fatta, spesso commovente e piena di avvenimenti che ribalteranno la situazione iniziale, oltre che pervasa da una certa aura di malinconia e struggimento che rende l’atmosfera ancor più suggestiva.
Lo Sky Garden, mappa enorme e double face, era la mia ambientazione preferita, e la sua musica una delle più belle del gioco.
Le meccaniche di gioco non presentano granché di nuovo: si tratta di un action RPG in pompa magna, con combattimenti completamente in tempo reale, senza level up compatti né nessuna statistica numerica particolarmente astrusa o incomprensibile, molto à la Zelda. Nel semplice menu, oltre all’inventario, si possono consultare le caratteristiche di Will e le abilità da lui apprese. A questo punto occorre dire che il fulcro dei dungeon (separati strutturalmente dalle fasi di esplorazione e dialogo, in cui non è possibile utilizzare nessuna arma) sta tutto nelle trasformazioni che Will può subire: non capita di rado, facendosi strada nei livelli, di trovarsi di fronte ad ostacoli insuperabili per un soldo di cacio come il nostro eroe. In questi casi Gaia, lo Spirito della Terra, ci viene in aiuto donandoci un nuovo aspetto, in pratica la realizzazione perfetta delle più sfrenate fantasie infantili associabili a un protagonista in giovane età: Freedan, un cavaliere in armatura nera e con tanto di spadone. Grazie a questo nuovo personaggio si possono raggiungere nemici ed interruttori più lontani e godere di un aumentato potere d’attacco. Proseguendo col gioco sia Will che Freedan si arricchiscono di nuove mosse ed attacchi, eseguibili con delle semplici sequenze di pulsanti, che permetteranno anche di sbloccare le situazioni e visitare aree apparentemente inaccessibili. Un’ultima trasformazione, resa disponibile unicamente nelle battute finali del gioco, è quella con cui Will diventa Shadow, un guerriero creato con l’essenza della cometa che può attraversare i pavimenti e attaccare con la semplice forza del suo braccio. Usare Shadow, va precisato, non dà un’oncia del divertimento e dell’esaltazione provate roteando la durlindana di Freedan, per quanto le sue potenzialità sembrino indicare l’esatto contrario, in parte a causa della rigidità del suo attacco principale. Il sistema di equipaggiamento ed uso di oggetti va di pari passo con la generale semplicità di Illusion of Time, pur risultando confusionario all’inizio: entrati nell’inventario, basta premere B sull’oggetto desiderato e ripetere l’azione sullo schermo per utilizzare l’oggetto, attivando spesso eventi della trama (come accade ad esempio nel caso delle melodie del flauto). Avrete forse ormai capito che non è possibile cambiare l’arma di Will, il quale peraltro non può contare su alcun party essendo i suoi compagni, pur se importanti per la storia, fondamentalmente tutti imbelli o comunque non giocanti.
L’energia vitale, anch’essa in pieno stile Zelda, è mostrata attraverso una serie di sferette anziché con il solito numero sotto una barra. Quando si sconfiggono tutti i nemici di una stanza si riceve un upgrade nella difesa, nell’attacco o nella vita, e una nota di comodità in più sta nella possibilità di vedere anche i punti ferita degli avversari ogni qualvolta li si tocca; non fanno eccezione nemmeno i boss, molti dei quali decisamente difficili, lunghi e coreografici sebbene si riducano perlopiù alla classica ripetizione di uno stesso pattern.
Concludendo con l’aspetto tecnico, la grafica è notevole, colorata e ricca di elementi fantasiosi, nonostante talvolta faccia un effetto piuttosto bizzarro; gli sprite e i background sono enormi, quasi sproporzionati, molto superiori alla media del periodo, e se i personaggi possono beneficiare del character design della mangaka Moto Hagio, storica autrice di shojo, curiosamente non evitano una caratterizzazione grafica piuttosto piatta e un tantino banale, oltre a non essere particolarmente ben disegnati negli artwork: paradossalmente, Freedan è ad esempio molto meglio in-game che non nel suo portrait. Gli sfondi sono invece il vero punto forte dell’art direction, specie quando cominciano a presentare ambientazioni veramente fuori dagli schemi: la foresta dei funghi giganti è un lisergico ed efficace sunto della bellezza degli scenari, che d’altronde si confà all’enfasi posta sul viaggio del gruppo. Più eccentriche ancora sono le musiche, le cui sonorità inaudite e le intenzionali dissonanze sono molto, molto lontane dalle pompose sinfonie di casa Square. Il compositore ha prediletto BGM spesso orientaleggianti e spesso fortemente basate sulle percussioni, lente e talvolta quasi timorose di rompere la solennità di un momento particolarmente drammatico o sospeso.
Il quadro d’insieme presenta un gioco ben riuscito sotto tutti gli aspetti, con una trama coinvolgente anche se non spropositatamente lunga (non pensate a un Final Fantasy VI d’azione, per intenderci), bello e divertente da giocare e che non esce per nulla sconfitto nel confronto con gli altri titoli contemporanei dello stesso genere. Alcuni storceranno forse il naso nel ritrovarsi con un’avventura che non fa nulla per nascondere i binari che il giocatore deve percorrere, ma si tratta di un gioco consigliato a tutti gli amanti di action RPG.
[Da un articolo scritto nel 2004 e da me riveduto, corretto e ampliato in occasione della ripubblicazione sul blog]
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