In questi mesi ho alquanto trascurato il summary delle opinioni sui (nuovi) manga comprati, soprattutto per scarsa voglia. Ora che me n’è tornata quantomeno una parvenza, invece, scriverò qualche parere su serie iniziate di recente, pur senza pretendere di andare a pescare troppo indietro rispetto a dove mi ero interrotta.
F.Compo: Ho comprato il primo numero, perché generalmente se vedo un manga in casa di Crimson è molto probabile che piacerà anche a me. Poco dopo il secondo, perché ne volevo ancora. Poi il terzo. Il quarto numero era introvabile in qualunque fumetteria mi recassi, dunque ho razziato lo stand di una fumetteria a Lucca sfilandogli tutti i volumi che sapevo di non poter reperire. La settimana immediatamente successiva mi sono precipitata a soffiare tutti quelli che ancora mi mancavano setacciando gli Star Shop romani e facendomi spedire da un negozio su eBay il 12, l’ultimo non ancora in mio possesso. E ora esito a continuare la lettura perché so che a iniziare il rush di lettura lo concluderei divorando ogni singolo volumetto in una settimana al massimo, restando per il resto con un gran vuoto dentro. In poche parole, il guaio di F.Compo è che finisce, proprio come si dice di un videogioco quando sull’onda dell’entusiasmo non si riescono a trovargli difetti seri. Con la differenza che dopo aver ruminato per bene il mio parere ancora non riesco ad additargliene altri. Quanto non apprezzo Tsukasa Hojo nelle sue serie più action e iperrealistiche, altrettanto amo questo suo autentico gioiello, frutto (e si vede) di un innato talento nel creare atmosfere, nel narrare, nell’imbottire di sostanza una storia semplice e nel disegnare. Le trame di F.Compo, strutturalmente parte di un tutto ma narrativamente episodiche quasi fino ad arrivare all’autosufficienza, sono spesso volte alla costruzione di un accogliente senso di calore e di intimità. Come se l’autore volesse dirci che per sentirsi parte di una famiglia e creare ricordi indimenticabili le categorizzazioni dell’identità di genere non hanno alcun peso, non tanto quanto ne hanno le persone stesse. Per questo Masahiko, classico protagonista generico delle commedie giapponesi a fumetti, viene da Hojo fatto nascere da un padre e una madre nel senso tradizionale del termine, ma è cresciuto completamente deprivato dell’affetto dei genitori, che invece ritrova nell’insolita famiglia dello zio (della zia?) materno. Il tratto realistico e poco esagerato, tranne che nelle vignette di gag, giustifica inoltre qualunque pretesa di ambiguità sessuale dei personaggi, soprattutto della coprotagonista Shion, laddove molti altri mangaka si sarebbero completamente appoggiati all’aspetto androgino di disegni ben più stilizzati. Precipitatevi su eBay a comprare le varie offerte di serie complete a prezzo stracciato: chi vuol liberarsene merita che questo piccolo capolavoro gli venga tolto dalle mani per trovare (si spera) padrone più degno. Adottate anche voi un F.Compo e non ve ne pentirete, soprattutto considerando che la serie non viene più ristampata da Star Comics.
Pluto: Naoki Urasawa è un autore che punta tutto sull’edificazione della trama. Mette una carta sopra l’altra per creare un castello altissimo, spesso torna a visitare i piani già disposti per studiarli meglio, monta innumerevoli climax e poi la cima della piramide, il finale, è costituito da un paio di tristi carte che però non fanno vacillare in nessun modo tutto quanto le sostiene: l’esatto contrario, insomma, del procedimento classico per cui proprio la punta massima della storia è quel che fa crollare tutte le convinzioni accumulate fino a quel momento. I finali dei manga di Urasawa sono spesso in calando; quello che conta, tuttavia, è il mondo che mette in piedi, gli esseri umani che descrive, le microstorie anziché la macrotrama. Chi lo ama lo sa, così come sa che l’altro suo punto forte sono le ambientazioni, che riesce a valorizzare al massimo anche quando parte da un lavoro non suo, uno che nientemeno ha cagionato la nascita dell’animazione nipponica come la conosciamo oggi. Astroboy visto dai suoi occhi diventa un giallo poliziesco che amplifica infinite volte le influenze da Metropolis di Fritz Lang già più volte manifestate da Osamu Tezuka. Come al solito, la costruzione del mistero è impeccabile e tiene desto l’interesse fino alla fine, anche quello di chi alle sue tecniche è ormai abituato dopo due fumetti meccanicamente molto simili tra loro. Forse, tuttavia, la relativa brevità (8 volumi) di Pluto gli impedirà di perdersi negli eccessivi giochi di specchi che a lungo andare hanno danneggiato sia Monster che 20th Century Boys, senza contare che il tema del doppio non sembra stavolta rientrare negl’interessi di Urasawa. Gli ultimi due numeri usciti in Italia, il 3 e il 4, sono particolarmente interessanti e densi di eventi.
Nausicaä della Valle del Vento: Col primo volume pensavo che il primo e unico manga di Hayao Miyazaki fosse invecchiato male, sfiancato dall’infodump di molti fumetti d’annata (anche giapponesi) e da una sceneggiatura non sempre chiara, pur se riscattato dallo stile grafico incredibile. Continuavo a preferirgli il lungometraggio animato, ma andando avanti e ormai arrivata al numero 5 mi rendo sempre più conto di che razza di opera fosse già alla fonte. Affascinante, originalissima ancora oggi, assolutamente matura. Un fantasy realmente adulto, che non si lascia incastrare nel buonismo imperante nel genere e mostra gli orrori della guerra col duro realismo che solitamente contraddistingue i racconti di fatti storici. Per Miyazaki tutti (o quasi tutti) sono nel “torto” e contemporaneamente nella “ragione” e la grandezza dell’animo di Nausicaä serve solo a far risaltare la sua lontananza dai “comuni” esseri umani, la fallacità e il miscuglio d’intenzioni altruistiche ed egoistiche che li anima tutti. Immortale.
Birdy the Mighty: Buon seinen manga dall’autore di Patlabor, meno ammiccante di quel che una tizia con solo delle parti di armatura a coprirle le zone private lascerebbe intendere. Pulizia del tratto, dinamismo delle tavole e commistione tra fantascienza à la Men in Black e vita quotidiana giapponese formano un amalgama che spinge a continuare a comprare il fumetto nonostante le premesse, lo scenario e la trama non siano fra i più impressionanti e sviluppati della Storia.
Welcome to the NHK: M’interessa approfondire il mondo degli otaku in fase terminale visto dagli occhi dei giapponesi stessi, quindi su suggerimento del buon VMee mi sposto da Genshiken a un esperimento ancora più estremo e decisamente più centrato sul lato patologico, piuttosto che su quello sociale. Apprezzo la competenza degli autori che il manga denota, ma ho letto ancora troppo poco per dare un giudizio più articolato.
E a parte questo, sto facendo una cosa che proprio non potrei permettermi di fare: formarmi una cultura di Rat-Man recuperando le prime storie in formato Tutto Rat-Man. Al liceo non l’avevo capito, ma una seconda possibilità non si nega a qualcuno che ti fa ridere come un’imbecille mentre sei sull’autobus a leggere 299+1 (A-Hu! A-Hu! A-Hu!). Spero di scoprire un mondo. E di non trasformare la mia libreria nella succursale di un manicomio.
Ah, volevo aggiungere che il talento di Mokona delle CLAMP ha del superumano. Bisogna vedere le tavole originali degli ultimi volumi di RG Veda e Rayearth, la precisione assoluta dell’inchiostrazione e dell’applicazione dei retini che le rende assolutamente identiche alle pagine stampate, per poterci credere. Mi reputo fortunata di aver potuto guardare con i miei occhi i veri disegni su cui ho sbavato per tanti anni e che spesso hanno incoraggiato la mia (scarsissima) vena creativa, e devo ringraziare ancora una volta Lucca Comics & Games per essere un evento così straordinario ogni anno (e non in ultimo perché mi permette di passare tre giorni stupendi con i miei migliori amici).
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