Ed ecco finalmente a voi i cinque JRPG che preferisco e che rigiocherei volentieri anche altre dieci volte. Sono quelli che più mi hanno immerso nel loro mondo, magari alcuni anche perché avevo appena iniziato ad avvicinarmi al genere all’epoca, anche se non credo che questo abbia importanza: dopotutto, si tratta di una classifica di preferenze personali. Ovviamente, la lista non può essere definitiva in quanto la mia esperienza con i JRPG è ben lungi dall’essere conclusa e a breve vorrei giocarne almeno altri cinque-sei. Unico criterio comune è il quadro complessivo dell’opera.
[Menzione speciale] Grandia II (DC, PS2, PC)
A parte un paio di eccezioni, Grandia II non verrà ricordato da molti per i suoi personaggi o l’ambientazione o ancora la storia (che comunque è l’elemento più interessante dei tre), legnosi e abbastanza insignificanti. Essi sono solo il tramite attraverso cui si manifesta il miglior sistema di combattimento a turni che mente umana abbia mai concepito. Evoluzione dal primo episodio almeno dieci volte più fluida e appagante, oltre a pompare l’adrenalina permette di sfruttarne tatticamente le caratteristiche per cappottare chiunque con un pizzico di pianificazione. Non lascia niente al caso, è un brivido anche alla millesima volta. E la soddisfazione di aver fregato i boss sul tempo o di essere riusciti ad annichilirli con Ryudo (una delle poche ragioni per cui il cast non è totalmente da buttare) mentre un altro membro del party continuava a cancellar loro le mosse scordatevi di provarla altrove.
Nota: era il quinto gioco di questa classifica fino a che due anni fa non ho giocato a Tales of the Abyss.
5. Baten Kaitos (GC)
Ho voluto premiare questo insolito titolo, uno dei pochi del genere usciti su GameCube, perché riesce a creare un’atmosfera davvero particolare e perché una direzione artistica e un uso dei colori così si vedono solo raramente, ma anche perché propone un sistema di combattimento con le carte (che non lo rende però un card game, attenzione) originale e molto divertente, nonostante in alcuni punti sia stato considerato leggermente fallato. Gli scenari, eredità spirituale delle ambientazioni di Chrono Cross, sono il prodotto di creatività, immaginazione e sensibilità cromatica oltre che di cura pittorica per la figura; anche i personaggi hanno un design abbastanza interessante, ma troppo barocco. Decisamente gli sfondi rubano parecchio l’attenzione a tutto il resto del comparto estetico e presentano ambienti che, pur circoscritti, fanno venire voglia di restare per sempre al loro interno, dai fitti roveti di Anuénué alle varie città di Mira, il continente delle illusioni. La trama, per quanto generalmente infarcita di cliché, presenta a mio avviso dei risvolti interessanti, come il colpo di scena centrale, ed è comunque intrisa di un’atmosfera malinconica che ne aumenta il valore, oltre al fatto che presentare il giocatore effettivo come protagonista dell’opera sotto forma di “spirito proveniente da un altro mondo”, chiaro richiamo a noi che siamo dall’altro lato dello schermo, innesca delle riflessioni pregnanti sul rapporto tra giocatori e gioco e va a formare un finale che è dieci volte più significativo anche solo in virtù di questo dettaglio. Vorrei unire a questa posizione nella classifica anche Baten Kaitos Origins, che purtroppo non ho (ancora?) finito ma che a parte dinamizzare ulteriormente il gameplay aggiunge altri elementi, come il party permanente di tre membri o la struttura narrativa “diluita”, di rottura dalla formula tradizionale.
4. Tales of the Abyss (PS2)
Normalmente i Tales trattano di tematiche abbastanza (cerco di metterla giù meno dura della mia prima stesura) abusate e peccano leggermente di puerilità. Tales of the Abyss è diverso, al punto da non poter quasi essere considerato un Tales. Si concentra sul significato della vita più che direttamente sul salvataggio del mondo e sul p0t3r3h dell’amicizia, presenta un viaggio e una crescita interiori oltre che riflessi esternamente, un protagonista dal carattere in assoluto ben poco visto e una quantità di tematiche secondarie e d’informazioni sul background che dovrebbero essere preoccupazione primaria di un JRPG. Non c’è un solo personaggio mal pensato nel cast dei protagonisti e persino le tipologie che solitamente m’infastidirebbero sono qui rappresentate da esponenti più che degni; tutti si completano a vicenda e hanno una propria storia (interessante) da raccontare. Certo, i cattivi al confronto sono quasi tutti scialbetti e di rado capita ancora qualche scena assurda, ma nel complesso la concentrazione di gag memorabili è imparagonabile al resto della serie. Sì, lo so, in realtà avrei dovuto occupare questo spazio con un semplice “c’è Jade” e già sarebbe bastato. Considerate tutto quello che ho detto fin qui un utile surplus.
3. Chrono Trigger (SNES, PS1, DS)
Attenzione: Questa foto è un intenzionale omaggio al numero di settembre 1995 di Game Power.
Sarà ingenuo, magari, semplicistico per come gestisce (comunque con coerenza inappuntabile) le conseguenze dei viaggi nel tempo e le alterazioni della Storia operate dal giocatore. Come cosmologia e mitopoiesi non allaccerà le scarpe a un Tales of the Abyss o uno Xenogears, limitandosi come si limita a collezionare una serie di cliché dentro una serie di periodi storici piuttosto generalizzati e incorniciati da spruzzate di fantasy che sembrano ben poco interiorizzate e molto spesso riproposte con modifiche minime rispetto alla tradizione. Ma Chrono Trigger era così avanti quando uscì che sta ancora vivendo di quello slancio iniziale e sembra che ne avrà ancora per molto: anzi, ha pure seminato tutti i concorrenti più giovani e da meno tempo in gara e nemmeno gli extra pensati per la versione DS riescono ad essere al passo. Forse sarà per una combinazione di sistema di combattimento fresco, struttura aperta, ottimo level design dei dungeon (incredibile per un JRPG), sistema di combattimento eccelso con nemici visibili e niente cambi di arena, continue sorprese e strati e strati di contenuti da scavare e scoprire come se fossero pepite in una miniera. Come un bel film o un bel libro, più volte si gioca più ci si stupisce di trovarvi altra roba di cui non si sospettava l’esistenza. E ancora oggi che il tempo scarseggia riesco ad esaltarmi di star giocandoci anche se è la quinta volta che lo inizio seguendo peraltro sempre la stessa trafila e usando sempre lo stesso party fisso. Il Regno di Zeal sopra le nuvole, la scoperta delle origini di Lavos, la scena del confronto con Magus e mille altre suggestioni sono pazzesche a vederle ancora oggi e mi accelerano i battiti del cuore per l’esaltazione, anche se sono solo un ammasso di pixel (disegnati e animati bbbene, però). Di pochissimi giochi si può dire che siano dei classici senza tempo e, ironicamente visto il tema, Chrono Trigger è uno di quelli a cui la definizione calza più a pennello.
2. Xenogears (PS1)
Come sopra: leggendo e rileggendo il Perfect Works e guardandomi i video playthrough trovo ancora oggi nuove informazioni e sempre di più mi rendo conto di quanto siano bene intessuti non solo la trama, ma tutto il mondo di contorno, la sua storia, persino la sua scienza, dettaglio per dettaglio, anche se molto di questo avviene esternamente al gioco (ma senza il gioco non me ne sarei nemmeno appassionata). È decisamente più pesante di Chrono Trigger da ricominciare (le prime ore di gioco ormai mi escono dagli occhi, per quanto siano un capolavoro di intensità) e costituisce anche un passo indietro per molti versi, come i maledettissimi scontri casuali. E magari qualcuno potrà apprezzare maggiormente la semplicità narrativa dell’altro parto del dream team. Ma mai, mai, mai ho visto una simile complessità concettuale, una simile densità di particolari in qualunque altro gioco abbia giocato.
1. Skies of Arcadia (DC, GC)
Non è dettagliato come Xenogears né innovativo come Chrono Trigger, eppure è in cima alla lista per una virtù che possiede in una sovrabbondanza fuori scala: è costantemente felice di essere al mondo. Veleggia agile tra i luoghi di una fantasia dal gusto classico del romanzo d’avventura, rielaborata però per includere non solo qua e là i topoi del JRPG, ma anche e soprattutto elementi distintivi che elevano l’ambientazione a una delle più fresche e originali di sempre. Qualcuno gli imputa una eccessiva somiglianza a Grandia, il primo, che però snocciola semplicemente una serie di ambientazioni carine senza possedere nemmeno da lontano l’organicità che la geografia e la direzione artistica di Skies of Arcadia ti stendono sul tappeto rifiutando di sacrificare il sense of wonder. Inoltre è il gioco più abilmente predisposto all’avventura classica, da romanzo per ragazzi, che mi sia capitato di incontrare: ogni continente ha le sue particolarità più che riconoscibili e straordinarie, che in un modo o nell’altro entrano nella storia. Dal verde che ricopre Ixa’Taka alla notte perenne di Valua, ogni vista riempie di gioia ed è coadiuvata da “ministorie” all’altezza, in cui succede veramente di tutto senza una battuta d’arresto. Inoltre, è uno dei pochi JRPG che riescano a essere allegri senza risultare minchioni o frivoli, con personaggi ciascuno diverso dall’altro e caratterizzato da un tratto spiccatissimo, un’idiosincrasia riconoscibile senza però ridursi a macchietta. Gli Ammiragli sono nell’insieme un piccolo capolavoro, ad esempio.
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